Bolzano, Göttingen, Sarajevo, 29 gennaio 2025

L’Associazione per i popoli minacciati (APM) critica le dimissioni di ieri, 28 gennaio, del Primo ministro serbo Miloš Vučević come una manovra strumentale del presidente Aleksandar Vučić per assicurarsi il potere nonostante le proteste in corso. Dal crollo della tettoia della stazione ferroviaria appena ricostruita di Novi Sad nel novembre 2024, in cui sono morte 15 persone, l’ondata di indignazione in Serbia non si è fermata. Quella che era iniziata come una protesta studentesca si è trasformata in un movimento civile nazionale che minaccia seriamente il potere di Vučić. I manifestanti denunciano la corruzione radicata, la sistematica manipolazione delle elezioni e la repressione degli oppositori politici da parte del regime del cosiddetto Partito del Progresso, che governa la Serbia da 12 anni attraverso l’intimidazione e la disinformazione.
Da settimane migliaia di persone scendono in piazza in più di 150 città ogni giorno. Il giornalista serbo Dinko Gruhonjić, che ha ricevuto il Premio Weimar per i Diritti Umani lo scorso dicembre, è rimasto impressionato dalle proteste in corso durante il suo discorso di accettazione: “Ciò che colpisce e incoraggia in modo particolare è il fatto che la stragrande maggioranza in quelle che sono le più grandi manifestazioni nella storia di Novi Sad, con decine di migliaia di partecipanti, erano giovani. La rimozione del regime criminale è un prerequisito fondamentale non solo per fermare il collasso della società serba, ma anche per raggiungere la pace e la stabilità nella regione dei Balcani occidentali, di cui il regime di Aleksandar Vučić è il più grande destabilizzatore”.
Di fronte a questa resistenza, Vučić sta cercando di guadagnare tempo per logorare i manifestanti attraverso le dimissioni tattiche di Vučević. Secondo la Costituzione, le nuove elezioni devono essere indette entro 30 giorni. L’APM si aspetta tentativi massicci di manipolazione da parte del governo. Insieme alle organizzazioni serbe per i diritti umani, da anni segnala la sistematica persecuzione dei critici del regime e la radicalizzazione nazionalista. Vučić sta quindi perseguendo l’obiettivo di un’espansione serba su larga scala e di alimentare nuovi conflitti nei Balcani occidentali. Tuttavia, le critiche dell’UE sono state finora esitanti. Invece di avanzare chiare richieste a Vučić, lo si corteggia come partner stabile, soprattutto quando si tratta di progetti economici come la controversa estrazione del litio.
L’UE non deve accettare questo nuovo comportamento fuorviante. Invece di dichiarazioni vaghe, sono necessarie chiare conseguenze politiche. La Serbia non può continuare a essere trattata come un candidato all’adesione all’UE mentre i manifestanti vengono attaccati da teppisti fedeli al regime. Se l’UE non esorta finalmente Vučić ad aderire ai principi democratici, priverà i cittadini serbi che protestano di ogni speranza per un futuro democratico.