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Due mesi di guerra in Etiopia

Fare luce sui crimini di guerra – Indagare sul ruolo dell’Eritrea

Il Parco nazionale dei Monti Simien nel nord dell'Etiopia. Foto: A. Davey, CC BY 2.0.

Due mesi dopo l’inizio dell’offensiva militare in Etiopia nella provincia del Tigray, l’Associazione per i popoli minacciati (APM) traccia un bilancio critico sui combattimenti in materia di diritti umani. Almeno 2.000 membri della popolazione civile sono stati uccisi, secondo quanto riferito da testimoni oculari. Più di un milione di persone sono fuggite dalle violenze, ha riferito l’organizzazione per i diritti umani. C’è urgente bisogno di indagini indipendenti su presunte violazioni dei diritti umani. Alcuni atti di violenza molto probabilmente sono da considerarsi crimini di guerra.

Anche il coinvolgimento dell’Eritrea nella guerra deve essere chiarito con urgenza. I membri dell’esercito eritreo sono ritenuti responsabili di numerosi attacchi e saccheggi. Mentre i governi dell’Etiopia e dell’Eritrea negano il coinvolgimento diretto del paese limitrofo, un tempo ostile, ci sono prove schiaccianti della presenza dell’esercito eritreo in Tigray. Il governo etiope ha iniziato l’offensiva il 4 novembre 2020 e l’ha dichiarata ufficialmente conclusa il 28 novembre 2020. Ma i combattimenti continuano in varie parti del Tigray, secondo quanto riferiscono testimoni oculari.

Questa non è un’operazione militare limitata per far rispettare la legge e non è una questione puramente interna all’Etiopia. È una vera e propria guerra con un coinvolgimento internazionale e conseguenze per l’intera regione. Al posto dell’annunciato intervento fulmineo con particolare attenzione alla protezione della popolazione civile, ci sono saccheggi, rapine e omicidi, come nella maggior parte delle altre guerre. Il Tigray è minacciato da una guerriglia di lunga durata, poiché i combattenti del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray (TPLF), che domina la regione, si sono ritirati in regioni montuose di difficile accesso. L’APM aveva più volte messo in guardia da una nuova guerra di guerriglia nel nord dell’Etiopia.

È tempo che la comunità internazionale ponga finalmente più domande ai responsabili delle violenze e chieda che ne rispondano danti ad un tribunale. Anche eventuali ragioni di Stato non giustificano che si giri lo sguardo dall’altra parte durante i bombardamenti e i saccheggi di chiese e moschee, gli attacchi ai credenti e il fuoco dell’artiglieria pesante sulle aree residenziali densamente popolate delle città.

Testimoni oculari hanno riferito di molti decessi di civili nelle città di Aksum, Wukro, Digum, Nebelet, Abi Adi e Hazwzen. Molte aree rurali, soprattutto nel sud-ovest del Tigray, sono state spopolate. La popolazione rurale era fuggita dalla violenta occupazione della regione da parte delle milizie alleate dell’esercito etiope dalla vicina provincia di Amhara. Le milizie sono accusate di reclutamento forzato e di attacchi ai rifugiati. Gli Amara rivendicano terreni storici per la regione. Per quanto giustificate possano essere queste rivendicazioni di terra, la loro violenta applicazione non fa che alimentare fughe e nuove tensioni tra le comunità etniche.